Riflessioni Mario Manzo

Mario Manzo, nel suo volume “Con i Frati della Corda in Terra Santa”, (ediz. Buonaiuto febbraio 2017), ha voluto concludere con una gratificante riflessione che propongo ai lettori di questo sito.

Da quando è sorta in me la sana convinzione di poter mettere per iscritto le ragioni spirituali di un cammino di fede, mai e poi mai mi era balenato nella mente il pensiero che un giorno sarei potuto ritornare in Terra Santa per ricalcare le Orme del Signore nostro Gesù Cristo e della sua Beatissima Madre Maria. Ed invece la Provvidenza, contrariamente alle mie superficiali convinzioni o fragilità di “uomo di poca fede”, a distanza di dieci anni, ha provveduto differentemente.
Sull'esperienza di quanto già avevo vissuto, l'essere di nuovo pellegrino in Terra Santa non poteva e non doveva significare una semplice partecipazione emotiva ad un evento dal quale, per una continua tensione dello spirito, non puoi uscire indenne senza sacrificare qualcosa.
Ad essere sincero e per non scadere nel romanticismo o nel cosiddetto  sentimentalismo pietoso e devozionale, come spesso avviene, questo secondo appuntamento con i Luoghi Santi mi è servito  soprattutto per verificare, rafforzare e cementificare i fondamenti in cui credo e professo nella pienezza della fede, la sola che introduce nell'amore di Dio Padre e che fa gustare nell'intimo il fascino  della reale presenza di Cristo.
Per quello che attiene questo mio secondo pellegrinaggio nei Luoghi Santi, che ha avuto inizio il giovedì del 29 ottobre e terminato il sabato del 6 novembre 2009, una testimonianza, se pur  breve, devo necessariamente comunicarla a chi di dovere.
In primo luogo un grazie di cuore ai reverenti Padri Pio Gaetanino D'Andola e Miro Martin Relota, che sono state le vere guide spirituali in un cammino crescente di conversione, di letizia tutta francescana, di speranza e di universalismo con tutti i pellegrini e gli abitanti del luogo incontrati in quel piccolo lembo di terra che è appunto la Terra Santa. Ancora mi corre l'obbligo di ringraziare mio fratello fra Francesco Manzo che, nel suo  50° anniversario dei voti solenni  (Gerusalemme 1959- Napoli  2009), ha inteso  ringraziare il Signore  per il suo apostolato  missionario di lunga  militanza nella Custodia di T.S. con  me, mia moglie  Assunta e i figli Antonio, Davide e Francesca. Infine, un particolare e cordiale ringraziamento agli altri del piccolo drappello di pellegrini tra cui fra Antonio D'Aniello, Antonio Caiazza e sua moglie Anna Maria D'Onofrio, le sorelle Anna e Clara Settembrini di Piedimonte Matese, zelatrici di Terra Santa, che con me hanno pianificato giorno dopo giorno una esperienza di vita fuori del comune.Ora però, al di là dei molteplici aspetti  religiosi, spirituali, ricreativi, culturali e sociali, che hanno reso significativo e vibrante il pellegrinaggio; al di là delle visite obbligate alle chiese, alle basiliche, ai templi, ai siti archeologici del passato, al rinnovo del battesimo nel fiume Giordano  e a quello del matrimonio in Cana di Galilea, che sicuramente meritano approfondimenti e delucidazioni anche di carattere teologico, quello che più di ogni altra cosa mi preme  mettere in risalto, e così definitivamente chiudo nel migliore dei modi il diario,  è la richiesta, che avanzai  a suo  tempo al reverendo P. Pio Gaetanino D'Andola di farmi pervenire i pensieri  profondi che lui lesse in  pulman durante il viaggio  di ritorno verso l'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, e che il frate  avrebbe  voluto  rendere  manifesti il giorno della  partenza per l'Italia davanti all'edicola del Santo Sepolcro. E il reverendo padre non si è fatto attendere.

       Ed eccoli qui di seguito. 

       Davanti alla edicola del Santo Sepolcro
Scribi e Farisei, sinedrio e soldati, appena messo Gesù nella tomba e rotolata la pietra, tirarono un sospiro di sollievo: “Finalmente l’abbiamo messo a tacere e ha finito di disturbare”.
Di solito davanti a una tomba richiusa da una pietra noi stessi diciamo: “Tutto è finito”. Oggi davanti a questo sepolcro riaperto possiamo esclamare: “Qui tutto comincia”.
E’ questo il rischio della fede in un crocifisso risorto. Per questo noi ci gloriamo di una croce che è diventata segno di vittoria.
E pensare che per il sepolcro di Cristo si sono inutilmente fatte tante guerre, sono morte migliaia di persone per liberarlo.
Ma non ci aveva già pensato lui? Non aveva pensato lui a liberare i sepolcri di tutti gli uomini?
Il sepolcro di Gesù non aveva bisogno di essere liberato: gli uomini sì.
Ecco allora la vera crociata: salvare la vita è l’unica maniera per celebrare la Pasqua. Invece il mondo è diventato una immensa via dolorosa.
La passione di Cristo continua nella interminabile carneficina perpetrata da guerre assurde tra uomini assetati di odio.
Ogni giorno sentiamo e vediamo grondare sangue dalle pagine dei giornali e dallo schermo televisivo.
Il mondo sta diventando uno sterminato cimitero.
Il vangelo ci presenta invece le donne che di buon mattino, come in un corteo mesto e rassegnato, vanno alla tomba di Gesù.
Ma all’improvviso scoppia il momento della fede, la fuga dalla paura.
Tutti incominciano a correre difilato, come quando succede una disgrazia.
La prima volta nella storia la disgrazia è capitata alla Morte. Proprio essa, la padrona di tutte le disgrazie, dominatrice di tutte le guerre e di tutte le violenze.
Con la Pasqua di Cristo la Morte ha chiuso per sempre perché ha vinto la vita.
Ma, come capita ai cristiani, dopo le notizie dei telegiornali ci facciamo prendere nuovamente dalla paura e dallo sconforto.
E mogi mogi, saggi e prudenti, ci facciamo i cosiddetti fatti nostri; veniamo in chiesa buoni e tranquilli, ci disponiamo sereni ad assistere alla solita liturgia. Senza sorprese.
E non succede niente.
Invece l’incidente della Pasqua, quello che cambia tutto e che avrebbe dovuto mettere in noi la smania di aver paura delle nostre paure, quella che ha messo in moto con il fiato grosso il correre della
Maddalena e di Giovanni e di Pietro per vederlo tra i primi, non ci rammenta che la nostra fede ha il fondamento proprio su questa tomba vuota.
Un cimitero sconvolto, una pietra manomessa, il disordine nella tomba è questo il racconto del vangelo. E incomincia così, nella storia dell’uomo, uno scompiglio generale.
Dobbiamo accettare il disordine della Pasqua. Con la nostra fede dobbiamo impaurire la morte. Sul nostro viso di credenti non si legga la paura, non si legga l’immagine di un Dio triste, di una Chiesa afflitta.
Dobbiamo abbandonare l’aria mesta di un funerale e unirci al drappello dei primi testimoni che si sparpagliano coraggiosi per le strade del mondo ad annunziare gioiosi l’unica certezza “Cristo è risorto”.
Ma non è risorto per se stesso, ma per noi; per farci risorgere dalle nostre paure e dalle nostre cadute.
Pasqua sarà ogni giorni se sul nostro volto e nel nostro cuore spenderà la luce e la gioia di annunciare con la vita la nostra fede, con coraggio, nonostante gli affanni quotidiani.                    

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